Due domande a… Flavia Conti


Due domande a… Flavia Conti, titolare di Anthology Digital Publishing

Di cosa ti occupi esattamente? E come sei arrivata a specializzarti in digital publishing?

Ho avviato una casa editrice specializzata in testi accademici e servizi digitali, con l’obiettivo di diffondere cultura. Il suo nome è Anthology Digital Publishing con ispirazione all’ideale dell’Antologia del Vieusseux di «parlare agli amanti delle scienze e delle lettere».

La casa editrice è aperta a tutte le aree tematiche. Da quelle umanistiche alle tecnico-scientifiche, con la certezza che la cultura sia presente nei settori più diversi (anche nel mondo delle Fondazioni e delle Associazioni) e che grazie alla sua diffusione potremo rendere più mature le nostre società.

Per questo credo tanto nell’open access, che significa rendere aperti e disponibili i risultati della ricerca, dai dati alle pubblicazioni, così che siano fruibili non solo per gli studiosi nell’ottica di una comunità accademica più aperta e collaborativa, ma anche per gli interessati e i curiosi, che vogliono conoscere e approfondire un tema.

Mi sono specializzata in digital publishing con tanti anni di studio ed esperienza. Sembrerà scontato, ma è imprescindibile e deve essere sempre ribadito, perché non conosco vie diverse.

Ho sempre lavorato nel settore dell’editoria. Ho avuto la fortuna di poter ricoprire mansioni in ambiti diversi dalla redazione alla grafica, dall’ufficio stampa a quello commerciale e quello contratti. Sono interessata a tutto ciò che compone questo settore e ho sempre voluto approfondire nel dettaglio ogni aspetto che lo riguardi.

Aver lavorato poi per tanti anni in una University Press, cioè una casa editrice interna ad un Ateneo, mi ha permesso di capire quali sono i bisogni dei ricercatori, come anche le fatiche e difficoltà che vivono. Questo nel tempo mi ha spinto a voler avviare una casa editrice che possa rispondere e risolvere questi bisogni.

Lo porto avanti poi con la cosa che per me è la più bella al mondo: fare libri. Non solo digitali ma anche di carta, da sfogliare, respirare e guardare con apprezzamento, per questo il senso estetico della pagina è importante (non sapete quanto aiuti per una migliore lettura) e di libri belli c’è un grande bisogno, anche nel settore accademico.

Parallelamente con Anthology seguiamo associazioni e aziende per far conoscere con pubblicazioni di qualità i loro progetti. Inoltre, con la collana «Le gocce», promuoviamo la diffusione di temi sociali legati al mondo dell’associazionismo etico.

Quanto è importante la traduzione per l’opera di disseminazione accademica?

La traduzione è fondamentale perché la ricerca possa circolare. Questo vale non solo per le pubblicazioni di alcune aree tematiche che hanno consolidato da tempo la scelta di scrivere direttamente in una lingua comune (in particolare l’inglese), ma anche per le pubblicazioni di materie che hanno una forte tradizione di uso di una lingua nazionale (e sono molte e nelle aree più disparate), per la presenza di una sintesi, un abstract ben strutturato e tradotto professionalmente, capace di descrivere la ricerca e dare conto dei risultati raggiunti.

Diciamo che la vita principale di una ricerca è dopo la pubblicazione, quando raggiunge gli altri studiosi e gli interessati all’argomento, così da accrescere lo studio su un tema e lo scambio di idee, tutto questo non potrebbe avvenire senza l’uso di traduzioni di valore.

Si deve permettere a studiosi di ogni parte del mondo di partecipare al dibattito comune. È sotto gli occhi di tutti quanto la cooperazione tra soggetti di tutto il mondo migliori e approfondisca il dibattito scientifico e velocizzi la circolazione delle idee. Tutto questo non potrebbe avvenire con traduzioni non professionali.

La tipologia stessa del tipo di pubblicazione richiede una conoscenza colta della lingua. Tipologia che non può essere affidata a traduttori inesperti. Negli anni passati uscivano fuori notizie imbarazzanti di traduzioni maldestre. Chi aveva fatto uso di traduttori automatici o si doveva improvvisare nella traduzione per la mancanza di fondi da dedicare a questo passaggio. Questi casi non solo vanificavano gli sforzi per permettere una disseminazione delle proprie pubblicazioni, perché la ricerca non poteva essere compresa appieno dagli studiosi non italofoni, ma la penalizzavano mostrando una mancanza di cura scientifica a discapito magari di un lavoro costato tanti mesi di impegno e sforzi non solo personali ma anche dell’ente di ricerca. Adesso per fortuna si è capito quanto strategico sia questo elemento e queste situazioni non si verificano quasi più.

La ricerca oggi più che mai deve poter circolare e diffondersi in tutto il mondo ed emergere tra il sempre crescente materiale che viene prodotto. L’uso accurato della lingua permette entrambi questi obiettivi che sono la diffusione e la rilevanza.

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